scapin squarise
Padova, 8 Maggio, all'Istituto Teologico S.Antonio dottore si è tenuta una commemorazione solenne di due frati che hanno segnato la storia dell'Istituto stesso, rispettivamente a 30 e 20 anni dalla morte: Fra Pietro Scapin (1930-1984) e Fra Cristoforo Squarise (1942-1994). 
Alla presenza del Ministro Provinciale, fr. Giovanni Voltan, di numerosi confratelli, parenti e amici laici, dopo la Messa, sono state scoperte le targhe dedicatorie, benedicendo due nuove aule dell'Istituto in ricordo dei due frati. Alla celebrazione è intervenuto anche Mons. Gianfranco Agostino Gardin, OFM conv, vescovo di Treviso, per lunghi anni legato ai frati Scapin e Squarise di cui si ricordava la vita e l'opera.

Pubblichiamo l'intervento presentato da fra Luciano Bertazzo, preside dell'Istituto Teologico, in memoria dei confratelli e docenti. A questo link tutte le foto dell'evento. A questa pagina dell'Istituto teologico le registrazioni Audio della commemorazione.

Luciano Bertazzo

"Abitare la memoria"
Ricordando due fratelli e amici: Piero e Cristoforo
Padova, venerdì 8 maggio 2015

PERCHÉ RICORDARE?

Forse possiamo, solo in parte, concordare con la famosa espressione di Bertold Brecht "Fortunato il popolo che non ha bisogno di eroi"... di eroi no, ma di testimoni sì!
Ricordare questi due nostri fratelli e amici è il ricordare la testimonianza che hanno offerto con la loro vita stessa, testimonianza i cui frutti sono ancora tangibili particolarmente nella realtà dell'Istituto Teologico S. Antonio Dottore.

Abbiamo voluto chiamare questo nostro incontro come un "abitare la memoria": il verbo "abitare" può avere un sapore poetico! Ma il suo significato etimologico ci dice essere un verbo frequentativo di avere, "continuare ad avere" memoria, ricordare quindi, e questo verbo ci permette di compiere un percorso che dalla memoria del cervello ci rimanda a un luogo del cuore!

Conosciamo, o possiamo immaginare la fallacità della memoria, la sua evanescenza nel tempo; mentre il ricordare è un esercizio che allena non solo le capacità mentali, ma anche quelle affettive.

Vorrei però fare riferimento a due modi diversi di ricordare. Nella liturgia della festa dei Santi francescani, il 29 novembre, si dice espressamente di fare memoria di quanti ci hanno preceduto e hanno amato la bellezza, chiedendo che la loro memoria sia in benedizione. Di contro: sappiamo come la tradizione certosina escluda anche il nome dei defunti nelle croci dei loro cimiteri, sapendo che tutto deve rimanere noto solo a Dio.

In effetti, era questo anche il desiderio di san Francesco: essere sepolto nell'immondezzaio di Assisi, dimenticato da tutti, ricordato solo dal suo Signore. Sappiamo come le cose siano andate in modo differente.

Nella vita della nostra Provincia c'è stato un momento, che reputo significativo, in cui la memoria di tanti frati si volle consegnarla in qualcosa di scritto perché non andasse perduta. L'abitudine di ricordare i nomi dei nostri defunti nella preghiera serale è sempre qualcosa che colpisce l'ospite che condivide con noi il ricordo. Spesso "pura nomina", più il tempo si fa distante; "abitare la memoria è farli presenti ancor oggi, come vogliamo fare per questi due frati/fratelli/amici il cui ricordo è ancora vivo in chi li ha conosciuti; di essi vogliamo dare testimonianza, perché la loro memoria sia in benedizione.

CHI RICORDIAMO ALLORA?
In ordine cronologico, ricordiamo p. Pietro Scapin, p. Piero, com'era semplicemente chiamato. Alcuni dati biografici: era nato a Battistei di Laghi di Cittadella il 1° agosto 1930, un borgo della campagna padovana dove il suo ricordo è ancora vivo, come ho potuto constatare quando in ottobre ho avuto modo di ricordarlo andando a celebrare l'eucarestia, poi commemorandolo tra le molte persone presenti: tutte avevano un ricordo, un particolare da narrare, espressioni di un affetto e di una nostalgia che si era ravvivata. Il ricordo di una persona buona, capace di ascolto e di grande delicatezza nell'incontro con l'altro.

A 12 anni, il 5 ottobre 1942 era entrato nel Collegio di Camposampiero iniziando quell'iter formativo che lo porterà alla professione solenne nel 1952. Le relazioni che lo avevano accompagnato nell'iter formativo avevano sempre evidenziato un carattere "mite, servizievole, sereno, cordiale" (1947: p. Bernardino Bordin); "invidiabilmente dotato [...] potrà essere molto utile all'Ordine specialmente se potrà completare la sua formazione intellettuale frequentando l'università", annotava p. Luca Bridio (1954), rettore dell'ITSAD, dove fra Piero era rientrato dopo tre anni di convalescenza a Montericco per problemi polmonari. In effetti poté proseguire gli studi dopo il quinquennio teologico: dal 1955 al 1958 studia a Friburgo in Svizzera, dove viene ordinato il 17 marzo 1956, e dove assume una caratteristico accento nel parlare diventato una sua peculiare caratteristica. A Friburgo consegue la licenza nel 1958, rientrato in Provincia, mentre prepara il dottorato, insegna lingua francese nei ginnasi di Brescia e Pedavena, oltre ad assumere vari corsi filosofici nell'ITSAD svolgendo il compito di segretario dal 1961 al 1963.

In quest'anno si addottora in teologia a Friburgo con una tesi su "Contingenza e libertà divina in Duns Scoto", divenendo, grazie anche a successive pubblicazioni, uno dei più acuti interpreti del pensiero scotista, organizzando vari convegni su questa figura. Nel 1967 conseguiva anche la laurea in filosofia presso la Pontificia Università Lateranense, lavorando ancora su questa figura con una tesi dal titolo "La causalità nel pensiero di Duns Scoto". Oltre alla docenza all'ITSAD avvia un'intensa attività di insegnamento anche a Roma, al Seraphicum, dove viene collocato di famiglia, da settembre 1963 fino al 1967, proseguendo nella didattica di discipline filosofiche e teologiche praticamente fino al 1984, anno della sua morte. Un'attività accademica che espleta a Padova, a Roma, al Seraphicum e all'Antonianum, nei seminari diocesani di Treviso e Vittorio Veneto. P. Francesco Costa, docente emerito della Facoltà San Bonaventura, che mi ha scritto scusandosi di non poter essere presente, a molti anni di distanza ricorda la giovialità, la cordialità fraterna di p. Piero, stante la convivenza di ben 21 anni in Facoltà (1963-1984).

Nel 1965 riceverà il titolo di "maestro in sacra teologia", assieme a p. Angelico e Antonino Poppi: il titolo costituiva, allora, un prestigioso riconoscimento connesso a un particolare cursus honorum(permetteva di partecipare automaticamente ai capitoli provinciali, poter essere eletto ministro provinciale); fu abolito di lì a poco nelle nuove costituzioni elaborate alla luce dell'aggiornamento richiesto dal Concilio Vaticano II.

Dal 1974 al 1976 è prefetto provinciale degli studi, un compito che prevedeva l'organizzazione scolastica in Provincia, stante ancora la presenza dei seminari minori; è preside dell'ITSAD dal 1981 al 1984. È con questa funzione che si apre un contenzioso con la Congregazione per l'Educazione cattolica: Piero, in contrasto con questa, è sostenitore della presenza nell'Istituto anche di laici desiderosi di studiare teologia, cosa non prevista dalla "Sapientia christiana" per gli istituti teologici affiliati, com'era l'ITSAD collegato alla Facoltà Teologica del Seraphicum. Solo la sua morte impedì che venisse aperto un procedimento canonico nei suoi confronti.

Tra gli anni '60 e '70 p. Pietro offre importanti contributi sul pensiero di Duns Scoto. Sono circa una ventina i lavori pubblicati in questo ambito, partecipando attivamente come organizzatore e relatore a vari convegni internazionali dedicati al pensiero del "doctor subtilis". La sua riflessione ha lasciato un segno sicuro e importante e molto di più ancora avrebbe potuto dare se richieste varie e una sempre più incalzante domanda di aiuto a molti bisogni non lo avessero portato su altre frontiere.

Altre frontiere! Nel 1967 una lettera del rieletto ministro provinciale p. Vitale Bommarco raggiunge p. Piero a Bienne in Svizzera, dove passava parte dell'estate in aiuto ai cappellani italiani della Missione italiana per gli emigrati e anche occasione per un po' di riposo e di studio non intralciato da altre incombenze (quell'impegno sarà proseguito poi per vari anni da p. Alfredo Bizzotto). In quella lettera, conservata nella cartella personale il provinciale gli chiedeva senza tanto discutere il suo "fiat" proponendolo come rettore del seminario dell'Istituto Teologico, dopo aver ottenuto il rammaricato placet del ministro generale p. Basilio Heiser. Svolge questo compito per tre anni dal 1967 al 1970, conquistandosi l'affetto e la stima di molte persone (chierici) che sa accompagnare con grande saggezza durante gli anni difficili del "mitico" 1968. Nel 1970 preferisce rassegnare le dimissioni non trovando un'équipe formativa adeguata per rispondere all'incandescenza delle domande ed ebollizioni in atto.

Può essere interessante la lettura fatta dal p. Terenzio De Poi in quel prezioso volume, voluto da p. Cristoforo Squarise per i 50 anni dell'ITSAD (L'Istituto Teologico S. Antonio Dottore. Cinquant'anni di storia [Padova 1938-1988], Centro Studi Antoniani, Padova 1989, pp. 143-149): p. Piero inizia il suo compito di formatore avendo ben chiari due punti di riferimento, i numeri 16 e 17 della Gaudium et Spesdal titolo "Dignità della coscienza morale" ed "Eccellenza della libertà". Il problema arduo era come educare al buon uso della libertà. Il custode capitolare, p. Bernardino Bordin, che aveva allora il compito di presentare una relazione indipendente da quella del provinciale al capitolo, riconosceva l'impostazione fortemente innovativa data dal p. Scapin che sviluppava una linea "liberalizzatrice che fa perno soprattutto sulla responsabilità personale, sull'iniziativa lasciata ai singoli e sul rispetto incondizionato della personalità dei chierici,...convinto, quasi come dogma, che nella formazione questa è l'unica via da seguire per formare le coscienze e per formare vere personalità". Su queste linee e convinzioni p. Piero "aveva aperto molte porte, con generosità, fino al limite (altri dicono, al di là del limite). E tutto questo lo ha fatto non per abolire la legge o la struttura, ma solo perché ogni alunno l'assumesse dall'interno, per intima adesione personale" (p. 145). Sono aspetti che oggi sono diventati ovii nella formazione, non così lo erano in quegli anni!

Per le sue competenze e capacità di mediazione, sempre pacata, che si muoveva nello sforzo dell'intelligere la realtà (famosa la sua ricorrente espressione: "Che senso ha questo; che senso può significare?") era stato chiamato a far parte del definitorio provinciale dal 1970 al 1976 e poi ancora dal 1979 fino alla morte. Nel marzo del 1978 era stato nominato direttore responsabile delle testate del "Messaggero di S. Antonio", dimessosi successivamente per motivi di coerenza e per i molti impegni che affollavano le sue giornate. Nel 1982 era stato chiamato a succedere a p. Antonino Poppi nella direzione del CSA. Nella lettera di nomina inviata dal segretario provinciale p. Cristoforo Zambelli (un altro fratello tornato molto presto a "casa", da Zogno-BG) gli scriveva: "Tu sai, e non c'è bisogno che spenda molte parole per dirti quanto la Provincia segua con interesse le iniziative e le pubblicazioni del CSA. Un aspetto molto importante della nostra 'antonianità' si esprime proprio attraverso il CSA". Anche qui lasciò la sua impronta soprattutto nell'ambito dello studio sociologico e antropologico della religiosità popolare, seguendo un interesse molto in auge al tempo, avvalendosi delle competenze di vari docenti universitari.

Vorrei ricordare come era recepito p. Piero, citando dalla lettera del provinciale p. Alessio Squarise, in occasione del 25° di ordinazione nel 1981. Il provinciale lo ricordava: "per il contributo che ha offerto e continua ad offrire nel campo dell'insegnamento, dell'educazione e del governo della Provincia. La sua intelligenza versatile e la sua vasta cultura è nota a tutti, come è nota la sua instancabile disponibilità e indefessa e qualificata laboriosità a servizio dei fratelli".

"Instancabile disponibilità"! Gli interessi di p. Piero si erano allargati molto al di là della docenza. Ormai era presente in quasi tutti i dibattiti pubblici, incontri, convegni sia nell'ambito culturale e politico (erano gli anni del dialogo tra cultura cristiana e cultura marxista), nell'accompagnare l'aggiornamento di molte congregazioni femminili. Un allargamento, una presenza per cui non mancarono comprensibili critiche sintetizzabili nell'adagio latino per cui maior extensio, minor intensio! Era un uomo molto ricercato (mitica, nel ricordo, è rimasta la sua agendina tascabile, inzeppata di appuntamenti sul filo del secondo e per fortuna allora non c'era il cellulare) per le doti di equilibrio coniugate con lucidità e profondità critica. La notorietà gli aveva permesso di tenere una rubrica fissa quotidiana nel quotidiano "Il Mattino di Padova", di nota area laica. A chi esprimeva dubbi per questa collaborazione, rispondeva che era un'occasione unica per esprimere un parere come cristiano in una cultura diversamente orientata: finché gli veniva lasciata libertà di espressione, perché non coglierla come un'opportunità? È interessante rileggere a distanza di tempo come proprio il quotidiano "Il Mattino di Padova" ebbe e ricordarlo: il 27 settembre, il giorno successivo alla morte, intitolava un articolo a firma di Albino Salmaso "Il Veneto ha perduto una coscienza libera uno di quegli uomini che non è facile sostituire" (p. 5), con due ulteriori ampie testimonianze di Giovanni Valentini, [p. Scapin] "Credeva da cristiano e scriveva da laico" e di Ferdinando Camon, "Era impossibile scontrarsi con lui" (p. 13). Il giorno successivo sullo stesso giornale, il sociologo Sabino Acquaviva scriveva "La tolleranza di Piero Scapin sarà un esempio di lavoro per molti" (p. 4). Un pezzo postumo di p. Piero, "L'Apocalisse biblica non è più un tabù" usciva ancora il 10 ottobre 1984 con lo scopo di "onorare la memoria di un nostro collaboratore, ma anche per contribuire alla realizzazione di quelle finalità benefiche cui egli devolveva ogni introito personale".

L'intensa attività su vari fronti, il suo "farsi tutto a tutti", sempre, senza risparmiarsi, lo avevano fortemente logorato. Negli ultimi mesi percepiva con una certa frequenza il senso di una provvisorietà del tempo, la percezione emotiva che questo "si era fatto breve" e la conseguente necessità di spenderlo tutto fino in fondo (cf. la testimonianza del prof. Alberto Vecchi, amico e collaboratore del CSA nel fascicolo commemorativo Ricordando p. Pietro Scapin. In memoriam. 26 settembre 1985, pro manuscripto, pp. 25-26: gli fu dedicato a un anno di distanza commemorandolo in una affollata Sala dello Studio Teologico per laici al Santo, riportando altre intense testimonianze). Morì a Concise (Cantone di Vaud –CH alle 7 del mattino del 26 settembre 1984, in un'incidente automobilistico mentre con altre tre persone si stava recando a Neuchâtel per un congresso internazionale sulla terza età, ulteriore frontiera dei suoi interessi, pensata ma non vissuta, in cui si era spinto per il suo bisogno di comprendere per aiutare.

Vorrei concludere il ricordo di Piero con alcune espressioni con cui il ministro provinciale p. Alessio Squarise annunciava la sua morte: "ciò che più si apprezzava in p. Scapin era la passione per il dialogo, aperto su tutto e con tutti, disposto a confrontarsi con tutti i modelli culturali della nostra società; aveva l'arte della mediazione delle posizioni anche le più lontane, e cercava di portarle a un livello razionale e umano in cui gli animi potessero intendersi e collaborare per il bene, per la concordia sociale e civile. [...] In ogni ambiente si inseriva autorevolmente conservando la sua identità di religioso, la propria indipendenza e autonomia di giudizio. Con vera ansia religiosa si faceva tutto a tutti, andava incontro a ogni persona, di ogni condizione sociale e culturale, attento e rispettoso di ogni vicenda umana, sempre pronto a farsi carico del fardello spesso pesante delle persone che lo avvicinavano. La sua viva sensibilità per i poveri e i bisognosi lo portava caricarsi di pesi e di servizi straordinari per raccogliere qualche compenso da devolvere per loro e questo sempre nel segreto e senza ostentazione".

Il congedo funebre fu in un'affollatissima basilica del Santo, riposando poi nel cimitero dell'Arcella fino a mercoledì 3 settembre quando, secondo il desiderio dei familiari, poté essere traslato a Laghi di Cittadella, lì in quel luogo da cui tutto ebbe origine.

Dieci anni dopo p. Piero, anche p. Cristoforo ci ha lasciati. Improvvisamente, inaspettatamente Piero, dopo una prolungata malattia Cristoforo, malattia che lo ha progressivamente segnato soprattutto nell'ultimo anno: un cancro all'intestino, secondario rispetto a una forma tumorale insorta a livello epatico e scoperta con ritardo.

Anche il percorso di Cristoforo si è svolto pressoché interamente nell'ambito dell'ITSAD.

Luigi, questo il suo nome di battesimo, cambiato alla professione con quello di manzoniana memoria, vi arriva dopo il percorso formativo iniziato a Camposampiero nel 1952, la professione solenne nel 1963, l'ordinazione il 6 aprile 1968. Dopo gli studi teologici a Padova, aveva frequentato l'Accademia Alfonsiana a Roma conseguendo il dottorato nel 1973 con una tesi sulla corporeità nel pensiero teologico di Karl Rahner; dal 1971 al 1972 è di famiglia nella comunità del seminario, allora autonoma rispetto al convento S. Antonio Dottore. Ebbe progressivamente a ricoprire il ruolo di rettore, guardiano e formatore dal 1979 al 1985. È nella parallela comunità dei docenti dal 1972 al 1979 e poi dal 1985, come guardiano dal 1988 al 1994 anno della sua morte. Nel 1985 in un progetto di riqualificazione dell'ITSAD (dopo un anno in cui il compito di preside viene svolto da p. Alfredo Bizzotto segretario che assume anche il compito direttivo), p. Cristoforo viene nominato preside svolgendo il compito fino al 1994. Dal 1976 al 1979, e successivamente dal 1988 al 1991, è definitore provinciale, con il settore della formazione permanente nel secondo mandato, dando impulso a una serie di iniziative che si sono evolute nell'attuale forma delle settimane di spiritualità. La scelta della teologia morale fu una sua precisa scelta rispetto all'altra passione della musica che lasciò con decisione, nonostante una indiscussa abilità che gli proveniva da un'acuta sensibilità personale. Forse è questa la cifra con cui possiamo leggere il percorso biografico di Cristoforo che espletò in modo particolare nel compito di formatore attento a criteri di formazione e di discernimento, particolarmente attento alle scienze umane apprezzate per quanto di meglio potevano offrire. Fu uno dei primi a frequentare i corsi estivi della Scuola di psicologia avviata da p. Rulla, tuttavia non concludendola, per divergenze sopravvenute.

La sua docenza nell'ambito della teologia morale svolta per 23 anni fu occasione per un continuo approfondimento sulle questioni connesse, condotto con una serietà e acutezza tale che la sua competenza venne richiesta anche al Seraphicum dove insegnò per un triennio (1973-1976), nello Studio teologico dei frati Minori di Bologna, nello Studio veronese di San Zeno e San Bernardino. Contemporaneamente all'insegnamento era diventato molto richiesto per conferenze, per relazioni a convegni e coordinatore di incontri di studio e di formazione. Vorrei ricordare soprattutto l'ambito della vita consacrata, divenuto il centro di particolare interesse della sua ricerca e riflessione. Un compito importante lo svolse nel progetto del 1° Convegno di Aquileia nel 1991, costruendo lo strumento di lavoro per la commissione della vita consacrata.

Fu in questo convegno ecclesiale che venne votata e accolta la mozione che chiedeva la possibilità anche per i laici di accedere ai gradi accademici nello studio della teologia. Di fronte al diniego del seminario di Padova che avrebbe potuto realizzare tale richiesta, come Sezione parallela della FTIS di Milano, la commissione episcopale, presieduta da mons. Eugenio Ravignani rivolse la richiesta a noi francescani conventuali. È stato grazie a p. Cristoforo che si è tessuta la convenzione per cui l'ITSAD, staccandosi dal Seraphicum, apriva il corso istituzionale teologico con una cospicua presenza di religiosi/e laici. La convenzione fu siglata nel 1991, rinnovata nel 1994 evolvendosi fino alla situazione attuale nel contesto della FTTr. Un salto qualitativo di grande importanza progettato in una scelta ecclesiale di ampio respiro.

I compiti istituzionali non hanno distolto la sua ricerca e l'impegno personale per la vita consacrata nella sua radicalità. L'impegno nella preghiera profonda, era un appuntamento a cui dedicava ogni giorno il tempo più prezioso della giornata dalle ore 11 alle 12. Una ricerca e un impegno che lo rese sempre più un apprezzato consigliere spirituale di moltissime persone. Le incontrava nell'esercizio del suo ministero pastorale vissuto sistematicamente al sabato pomeriggio e nelle domeniche mattina. Finché ha potuto non ha mai voluto rinunciare a questo compito pastorale. Anzi, ricordo bene, che mi diceva che se avesse avuto la "grazia" di superare la malattia, suo desiderio sarebbe stato di dedicarsi totalmente al ministero dell'ascolto, dell'accompagnamento, della misericordia.

E poi l'incontro con la malattia. Cagionevole lo era sempre stato e regolatissimo nella sua alimentazione e qualità di vita. I primi sintomi li avvertì nel novembre del 1992, manifestandosi pienamente nell'aprile del 1993. Era il martedì santo. Anche per Cristoforo fu un entrare in una nuova frontiera della vita, con domande nuove.

Nel libretto commemorativo che gli abbiamo dedicato nel primo anniversario della morte, abbiamo voluto pubblicare anche lo schema dell'omelia che tenne nel maggio 1993 a conclusione dell'Anno accademico. Solo appunti di quanto avrebbe sviluppato, dando il titolo di "Chiamare 'croce' il dolore dell'uomo", con delle domande conclusive che riporto: "Il dolore porta a interrogarsi sulle domande fondamentali del senso della vita; qual è il mio rapporto con Dio (fiducia, dipendenza, speranza, rifiuto, un Dio vendicativo?; sto integrando ('risignificando') il dolore della mia vita come Cristo ha fatto e insegnato?".

Nell'ottobre 1993 con qualche mese di ritardo rispetto alla data, festeggiò a S. Giustina in Colle il 25° della sua ordinazione. Concludeva la sua omelia con "una semplice comunicazione di due motivi che giustificano il nostro grazie al Signore, per me, per ciascuno di voi: la misericordia che ha in ogni aspettativa, il senso positivo, anche se faticoso, laborioso, ma vero di ogni prova, di ogni dolore della nostra vita. Chiudo con le parole che abbiamo ascoltato nella seconda lettura di san Paolo ai Filippesi:'Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche, ringraziamenti' ".

Sono stati i sentimenti che lo hanno sostenuto quando la malattia si è fatta sempre più invasiva. Una dura lotta tra speranza, accoglienza di una realtà che comunque faceva parte di un progetto di amore più grande di noi, non rinunciando, comunque, al desiderio di vita. La sua ultima uscita fu proprio il 27 aprile 1994, desiderando intensamente andare a Brescia in occasione della traslazione della salma di fra Giacomo Bulgaro dal cimitero alla chiesa di San Francesco. Non posso scordare l'intensità di quel suo posare la mano sulla bara del santo confratello che lui aveva conosciuto negli anni della sua formazione.

Anche lui fu salutato e la sua vita consegnata al Signore nella basilica del Santo, in un'eucarestia presieduta da mons. Ravignani con la presenza di più di 150 concelebranti. Nella lettera inviata ai frati così si esprimeva il ministro provinciale, fra Agostino Gardin: "Non è retorico dire che la dipartita di p. Cristoforo crea un grande vuoto in Provincia. Dobbiamo riconoscere che la nostra fraternità viene impoverita rimanendo priva di un fratello ricco di doti, che ha dato e che avrebbe potuto donare ancora molto a tutti noi, non solo con la sua intelligenza e con la riconosciuta preparazione teologica, ma anche con il suo esempio. Ci mancheranno la sua bontà e il suo spirito di fraternità, la sua modestia e la sua umiltà, il so amore alla preghiera e alla riflessione, la sua appassionata volontà di far conoscere e comprendere la bellezza della vita consacrata. Noi accettiamo con fede questa grave perdita, accogliendo con disponibilità i disegni misteriosi di Dio, ma riconoscendo anche con gratitudine il dono grande che il Signore ha fatto alla nostra famiglia provinciale dando ad essa questo fratello".

P. Piero e p. Cristoforo, non degli eroi da celebrare, ma dei testimoni credibili che affidano a noi, anche a distanza di anni, il segno che spendere appassionatamente la vita per il Signore nel servizio dei fratelli, anche nel ministero culturale, vale la pena.

La loro memoria sia in benedizione per noi tutti, grati al Signore per il dono della loro esistenza.

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