Omelia nella S. Messa della solennità di S. Antonio - Basilica del Santo
voltan2Un episodio decisivo della vita di S. Antonio, - senza del quale non saremmo qui questa sera -, è il passaggio di cinque frati italiani nel convento dei Canonici Agostiniani di S. Cruz in Coimbra (Portogallo), ove egli si era consacrato al Signore. Fernando, questo il suo nome di battesimo, sacerdote novello, restò stupito dall'ardore dei frati italiani che avevano chiesto ospitalità ed erano diretti in Marocco. A fare cosa in Marocco? Quello che dice il Vangelo: predicare il Vangelo a tutti. "Andate e predicate in vangelo ad ogni creatura, (...) dappertutto" (cf. Mc 16). In questo "dappertutto", "a tutte le creature" ci sono, in senso estensivo, tutti gli uomini e le donne della terra, di qualsiasi nazione, religione, ma pure ogni forma di vita, ogni luogo.
 
Grande commozione destò in tutto il Portogallo il passaggio dei resti mortali dei frati italiani che, volendo predicare a tutte le creature, erano stati martirizzati in Marocco, proprio dove avevano desiderato evangelizzare. I nomi di questi frati, nativi dell'attuale provincia di Terni, sono: Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone. Il calendario francescano ne fa memoria il 16 gennaio (data del loro martirio, nell'anno 1220) con il titolo di Protomartiri, -primi martiri-, francescani e li ringrazia perché, secondo disegni provvidenziali, con il loro apparente insuccesso e con la loro morte ci hanno donato S. Antonio. Fernando decise infatti di essere come loro, diventando frate minore con il nome di Antonio. Perché? Per predicare il vangelo ad ogni creatura. Le vicende della sua vita andarono poi come sappiamo e frate Antonio predicò laddove non avrebbe mai pensato di annunciare la buona notizia: anche lui però "ad ogni creatura" e "dappertutto".
Vorrei qui sottolineare l'aspetto dell'annuncio del vangelo, che è caratteristica di S. Antonio e che è richiesto a ciascuno di noi: predicare ad ogni creatura, dappertutto. Spesso in quest'annuncio ci paralizza la paura, il rispetto umano, l'opinione dei più. E se gli uomini – che possono essere il vicino di casa, il compagno di lavoro, l'immigrato giunto tra noi, ecc. − non ascoltano, non vogliono sentire, rifiutano? Francesco d'Assisi e il suo discepolo Antonio ci direbbero: Che problema c'è? Francesco parla agli uccelli e questi l'ascoltano; Antonio ai pesci del mare, ad una mula, come quella volta a Rimini, dopo il rifiuto da parte degli abitanti della città e questi comprendono: i pesci tirano fuori la testa dall'acqua, la mula si inginocchia davanti all'Eucarestia. La Parola di Dio è davvero e sorprendentemente per tutte le creature, va offerta a tutti, come fa il seminatore che non sembra preoccupato di gettare la semente in ogni dove, dappertutto, con una generosità che può apparire insensata: sulla terra, ma addirittura tra i sassi, sulla strada. Protagonista infatti è la Parola di Gesù, il Vangelo: Parola che converte, sana, guarisce anche laddove mai si sarebbe pensato. Noi siamo i mediatori, gli strumenti, i testimoni umili dell'azione incessante e stupenda di Dio. Non tratteniamo allora, come ci esorta Papa Francesco, la gioia del Vangelo, ma offriamola a tutti, ad ogni creatura e in ogni ambiente con coraggio, intelligenza e fantasia!
Le narrazioni ufficiali dicono che frate Francesco, appresa la notizia del martirio dei confratelli in Marocco, abbia esclamato: "Ora posso dire con sicurezza di avere cinque frati minori"! Ma un'altra fonte riferisce d'un S.Francesco infastidito dall'enfasi data a tale comunicazione, tanto che avrebbe detto all'incirca queste o simili parole: Noi ci esaltiamo per opere compiute da altri, volendo ricevere noi l'onore, senza però voler far nulla. Se riferiamo a noi l'ammonizione bruciante di Francesco, percepiamo tutta la sua provocazione. Come padovani, come italiani, come devoti del Santo, come frati potremmo vantarci di avere S. Antonio come santo del cuore, di venire da una famiglia religiosa, di aver conosciuto questo o quel sacerdote, di aver fatto più pellegrinaggi, ecc. senza che la nostra vita sia per davvero cristiana (o ci provi ad esserlo), senza che l'affetto che diciamo di nutrire per il Santo diventi un cercare di vivere ogni giorno secondo il Vangelo, una vita onesta, caritatevole; una vita che sperimenta la consolazione di frequentare -o tornare a frequentare- i sacramenti: l'eucarestia domenicale, la riconciliazione frequente. E la gioia di coltivare quanto di più prezioso abbiamo: la nostra relazione con il Signore Gesù, la nostra vita di figli di Dio e fratelli tra di noi, –in una parola sola: il nostro essere cristiani−, che da luce ad ogni dimensione della nostra esistenza.
Proprio per questo, spogli di ogni inutile vanteria, vorremmo chiedere, questa sera, al caro S. Antonio: Portaci a Gesù, facci innamorare del Vangelo, facci sentire la gioia di essere cristiani nella concretezza del nostro vissuto. Non è facile oggi esserlo, né è semplice di questi tempi compiere il bene. C'è una complessità sociale di cui dobbiamo tener conto e che potrebbe frenarci per i molti aspetti da aver presenti, ma tu, caro S. Antonio, evangelizzatore convinto e patrono dei poveri, ci porti al Signore Gesù, indichi il Vangelo perché diventi vita anche nel nostro oggi. Aiutaci, caro Santo, a trovare oggi le strade che sposano il Vangelo con la vita, la fede al pane da condividere, perché ogni creatura sia raggiunta dalla gioia del Vangelo.
 
Fr. Giovanni Voltan, Ministro Provinciale

Intervento del Ministro provinciale al termine della processione di S.Antonio per le vie di Padova. sabato 13 giugno 2015
processione2015Anche quest'anno siamo riusciti a compiere la processione in onore di S. Antonio: accanto al grazie al Signore e al caro Santo, quelli per chi l'ha predisposta ed animata e a tutti voi che avete partecipato con devozione. Un saluto anche a quanti ci seguono da casa, attraverso la televisione e la radio, in particolare gli ammalati.
È sempre bello esprimere la devozione al nostro caro Santo portandolo per le vie della città che lui, straniero, ha imparato ad amare in vita e in morte, volendo che il suo nome fosse per sempre legato ad essa. Dall'alto continua a vegliare come patrono celeste di Padova. Chi avrebbe potuto pensare un paio d'anni prima del 1232 che Antonio, il frate forestiero, sarebbe diventato il tesoro che la città racchiude nell'arca preziosa della sua Basilica e che tutto il mondo guarda e invoca?
Aver camminato e pregato con Sant'Antonio, chiamato "patrono dei poveri e dei sofferenti" ci interpella, anche a partire dalla sua vicenda personale di persona straniera giunta in Italia. Anche la nostra città di Padova, -al pari di quasi tutte le città italiane-, ha dovuto affrontare la non facile problematica dell'emergenza umanitaria di persone profughe.
Come cristiani e devoti del Santo non possiamo che ascoltare l'eco dei Sermoni che frate Antonio predicava nelle nostre piazze citando la Bibbia:
"Dice Mosè: «Il forestiero, l'orfano e la vedova che stanno dentro le tue porte, mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore, Dio tuo, ti benedica in tutte le opere delle tue mani» (Dt 14,29); e ancora: «Ti comando di aprire le mani al tuo fratello povero e bisognoso, che abita con te nella stessa terra» (Dt 15,11)" (Dom I p.Oct.Ep.,8)
Evidentemente, intorno al tema dell'accoglienza, ciascuno, dopo essersi documentato e aver ascoltato la propria coscienza, ha diritto di dire ciò che pensa. Davvero può essere un gran bene poterci confrontare tra cittadini, al di là di slogan e facili proclami, su ciò che ci fa paura, sui disagi che proviamo, sui punti critici ed anche su possibili soluzioni e possibilità che intravvediamo. Infatti non è facile, nella complessità sociale di oggi, -per di più nel tempo di crisi che viviamo-, cercare di capire le situazioni, individuare come fare il bene. Eppure, -e la storia ce lo ricorda -, molte volte è proprio una situazione di emergenza, un problema che preme a farci trovare soluzioni inedite, risorse che non sapevamo di avere, a renderci uniti anche se ci sentiamo diversi. Per noi cristiani, in tutto questo processo, la bussola imprescindibile resta il Vangelo di Gesù, il quale traccia per noi un'indicazione inequivocabile a favore di ogni uomo che è, come noi, creatura di Dio.
Come dice Papa Francesco, non dovremmo desiderare di essere «una minoranza felice... in modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse mentre gli altri sopravvivono come possono»: «La dignità della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni che non vogliono rinunciare ai loro privilegi. Quando questi valori vengono colpiti, è necessaria una voce profetica» (cf. EG 218).
Voce profetica continua ad essere quella del nostro Santo. Con fiducia, allora, chiediamo a Sant'Antonio, Patrono di questa città, di aiutare e illuminare le amministrazioni locali (-e, in senso estensivo, quanti in Italia e nel mondo sono preposti all'azione di governo-), ma anche noi cittadini di ogni estrazione: ci illumini per ricercare e fare, al meglio delle nostre possibilità, quanto definiamo "bene comune", cioè il bene di tutti, quel bene cui ciascuno di noi può contribuire.
S. Antonio ci sostenga e ci renda coraggiosi testimoni del Vangelo per l'oggi che viviamo!

Fr. Giovanni Voltan, Ministro Provinciale
 
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