DSF7746 webOmelia del Ministro Provinciale fr. Giovannni Voltan in occasione delle Professioni perpetue dei frati: Alex Cerron e Gianmarco Marinello, celebrate l'8 ottobre a Treviso, nella nostra chiesa di San Francesco.

Cari f. Alex e f. Gianmarco, quando ho adocchiato la Parola di Dio da voi scelta, ho pensato con una sorta di deformazione professionale - noi sacerdoti non dovremmo mai averla (mea culpa!)- che il Vangelo (Mt 13,44-46) era “facile”, ma per la prima lettura (Gn 32,23-32) l’impresa era ardua. Da che parte “attaccarsi”? E poi, soprattutto, perché voi due l’avete scelta? Un motivo certamente c’è: in essa vedete rispecchiata un po’ della vostra storia. (Poi, per sorridere, quando giorni fa mi avete inviato le motivazioni della scelta di Gn 32, -proprio quella volta che mi ero portato avanti, visti gli impegni successivi che mi attendevano-, avevo appena conclusa l’omelia!).

Proviamo, allora, ad avvicinarci al testo da voi scelto con un doveroso, breve riassunto delle puntate precedenti. Giacobbe, complice la madre Rebecca, ha carpito con uno stratagemma la benedizione del padre Isacco che, in primis, spettava al gemello primogenito Esaù. Dopo questo fatto/furto, egli deve però fuggire, affrontare un viaggio nel quale il Signore si fa presente, gli fa capire che non è abbandonato (bello, a proposito, -qualche capitolo prima del nostro brano, il cap. 28-, il sogno della scala che congiunge terra e cielo). Fuori patria Giacobbe si fa una sua famiglia, è un uomo cui non manca nulla, finché viene il momento di ritornare. Con trepidazione, paura, timida speranza: che reazione avrà il fratello Esaù? Vorrà vendicarsi oppure sarà disponibile ad una conciliazione? Il piccolo torrente Iabbok cui giunge Giacobbe con tutto ciò che ha, è lo spartiacque tra questi pensieri, paure, sogni e le speranze di futuro, dell’avverarsi pieno della benedizione ricevuta oppure il suo fallimento. Attraversarlo in pace è tornare a casa, essere ricacciati è ripiegare dalla benedizione, esserne escluso, fallire, mancare l’eredità promessa. Giacobbe fa passare i suoi cari, le sue cose. Resta solo (-si resta sempre soli nei momenti decisivi della vita!-), resta solo ed è notte  (-la notte acuisce il senso d’essere indifesi, più esposti al pericolo, ma nella Bibbia è pure lo spazio di eventi decisivi-) mentre un uomo inizia a lottare con lui sino al sorgere del sole. Difronte al personaggio misterioso che gli duella contro, Giacobbe tiene botta, resiste: si può dire che, ai punti, è un pareggio tra i due. L’uomo non riesce a vincerlo e lo ferisce all’articolazione del femore. Giacobbe riconosce in quest’uomo una personalità importante e prima del congedo, chiede la sua benedizione e il suo nome. Invece, è lui stesso a ricevere un nome nuovo: non più Giacobbe ma Israele (“hai combattuto  con Dio e con gli uomini e hai vinto”) e la benedizione. Per Giacobbe-Israele quel luogo diventa “terra santa”, gli dà nome Penuèl (“davvero ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva”).

Cari fratelli e sorelle, anche per f. Alex e f. Gianmarco, c’è stato un momento, un luogo di crisi-discernimento come il guado allo Iabbok, un prima e un dopo, un combattimento spirituale con Dio, un prima e un dopo tra l’irruzione del Signore che chiedeva di mettere in gioco tutta la vita e la paura di tornare sui propri passi, di perdere. Infine, dopo tanta tensione, c’è stata la risposta di trovarsi in Penuèl ovvero la certezza di aver incontrato Dio faccia a faccia. Non è più lo stesso Giacobbe: lui il “tallonatore” delle gambe di suo fratello cui aveva rubato la primogenitura, viene colpito proprio alla gamba: nella lotta prende coscienza di sé, anche del male fatto, e di Dio: non per sentito dire, ma dentro un’esperienza.

“Spuntava il sole , quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all’anca”. Giacobbe passa lo Iabbok ma è segnato, marchiato dalla lotta. Sciancato, porterà sempre i segni di questo duello che pure l’ha visto vittorioso. L’anca slogata non è solo il segno di ciò che ha fatto al fratello, ma anche il segno che Dio è passato; Giacobbe non è più lo stesso: ora può andare incontro a suo fratello in modo nuovo. Si fa giorno e Giacobbe può presentarsi, in modo umile, al fratello. Si fa sempre giorno quando andiamo incontro al fratello umilmente. Con questa lotta, f. Alex e f. Gianmarco ci ricordano quanto essi e un tantino tutti sperimentiamo nella vita spirituale, nella nostra relazione con il Signore: la nostra è una lotta permanente con Lui, tra i miei desideri e progetti e i suoi, tra le mie vedute e le sue, partendo talvolta dal sentirmi abbandonato, dimenticato. La lotta, dice il testo sacro, non è solo con Dio ma anche con i fratelli visti come rivali, nemici da temer o cercare di vincere. Ed è anche lotta con se stessi, con il proprio passato, con il proprio male. C’è un passaggio, uno Iabbok da guadare. Se affrontiamo questo confronto, succede in noi qualcosa di sorprendente: lottare con il Signore è benedizione, è vita, nella relazione con lui, con gli altri, con noi stessi. Si può finalmente passare e si apre un futuro di pace, di relazioni nuove con i fratelli, relazioni più umili e vere!

Spero evidentemente che f. Alex e f. Gianmarco non abbiano problemi al femore dopo la professione (f. Alex è comunque un bravo fisioterapista!), ma restando nell’immagine c’è per noi il richiamo ad una realtà per ogni cammino cristiano: il Signore quando passa, quando ci lotti corpo a corpo, ti segna, non ti lascia più come prima. Acquisti, anzi ti vien dato, un nome nuovo. L’abbiamo visto anche in San Francesco celebrando pochi giorni fa la sua festa: il Poverello d’Assisi porta nel suo corpo, oltre che nel cuore, i segni della passione del suo amato, di Gesù. Attenzione però: per Giacobbe, per Francesco non è “sofferentismo”, dolorismo: è l’essere stati toccati, per grazia, dall’Amore, portare le esigenze di quest’amore. C’è chi va in giro con tatuaggi anche costosi nel proprio corpo: noi non ne abbiamo bisogno perché l’Amore del Signore è già in noi, è una ferita che sanguina e al contempo dà gioia perché siamo suoi. Perché abbiamo combattuto con l’Amore e abbiamo vinto. Ma mi piace dirlo anche così: abbiamo lottato con Lui e abbiamo vinto perdendo perché l’Amore di Gesù è grande anche in questo, nel lasciarci vincere, nel lasciarsi vincere, nel donarci tutto di sé perché noi abbiamo vita in Lui!

Alla luce di questo brano del libro della Genesi, possiamo leggere il Vangelo del tesoro nascosto nel campo e della perla preziosa. Scorgerlo, scoprirlo è gioia immensa. Poi però bisogna difenderlo, nasconderlo un po’, accettando di affrontare una lotta come quella, per es. di passare per matti nel vendere tutto ciò che si ha (fuor di metafora: lasciare famiglia, lavoro, amici) per comprare il campo ove c’è il tesoro. Anche in questo passaggio, credo stia la biografia vocazionale di f. Alex e f. Gianmarco: il Signore per loro è il tesoro prezioso, la perla di valore inestimabile per cui si può osare la lotta contro tutti, se serve, al fine di averlo per sempre.

Cari f. Alex e f. Gianmarco, con il vostro Sì per sempre di quest’oggi entrate in modo definitivo nella nostra Famiglia Francescana: siamo contenti di avervi come fratelli nel seguire il Signore nostro Gesù Cristo sulle orme dei santi Francesco ed Antonio. Non prendete paura dei nostri peccati, dei nostri limiti, ed aiutateci a migliorare, facendoci dono reciproco della correzione fraterna per vivere al meglio la nostra vocazione.

L’augurio che vi faccio, a nome della Fraternità provinciale, lo attingo dalla Parola da voi scelta: possiate essere uomini, frati che fortificati dalla lotta, dall’incontro con il Signore possano dare -con umiltà- benedizione e speranza a tante persone. Non ci siamo infatti fatti frati solo per salvare noi stessi, ma soprattutto per donare la vita, condividendo gioie e lacrime di chi il Signore ci pone accanto. La grande letizia della scoperta del tesoro che è il Signore possa trasparire sempre nelle vostre vite! Davvero vi prego di essere frati lieti, mai ripiegati su voi stessi (sulle vostre esigenze, malanni, pretese). E questo perché avete incontrato il Signore, ne siete segnati con l’abito della tonaca fatto a forma di croce -come voleva San Francesco- ed anche, e più, ne siete segnati nel cuore, nelle mani, nelle parole, nei gesti. Perché desiderate coltivare ogni giorno questo dono di essere suoi per sempre e, nel suo nome, di tutti. Buon cammino fratelli, grazie del vostro , contate sull’Altissimo, onnipotente, bon Signore, il Padre delle misericordie, sui nostri Santi, e su di noi!
 
Video con le foto della celebrazione (a cura dei Frati di Treviso):

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