Ha quasi cent'anni il frate confessore che parlò con i Santi
Giuseppe Ungaro è il più vecchio religioso di Padova. E confessa ancora. «Volevo andare missionario in Cina. Mi predisser o che la mia missione era qui»
PADOVA Avrebbe voluto fare il missionario in terre lontane, invece lo ha fatto in patria, instancabile nella predicazione, anche adesso, alla soglia dei cento anni, secondo quanto gli avevano predetto padre Pio da Pietrelcina e papa Pio XII. Il volto incorniciato da una folta capigliatura bianca, e da una altrettanto candida lunga barba, lo fa somigliare a un antico profeta. Ecco padre Giuseppe Ungaro, che il 27 maggio compirà 99 anni. Il più vecchio della comunità del Santo e anche fra i religiosi di tutto il territorio padovano.
Come e quando è nata la vocazione alla vita religiosa e, nello specifico, nell'ordine dei Frati Minori Conventuali? - «Avevo dieci anni e nel Fioretto del mese di maggio, il parroco di Pontevigodarzere, una volta, predicò sulle missioni, così bene, da coinvolgermi. Andai all'altare della Madonna e dissi di voler andare missionario. L'anno dopo chiesi ai Padri Giuseppini di poter entrare da loro, ma ero troppo giovane, risposero. Allora pensai al Santo e incontrai fra' Ottavio Piccinato, che mi chiese se volessi farmi frate missionario. È quello che cercavo, risposi».
Quali sono stati gli esempi che ha avuto nell'abbracciare la vita religiosa, e quindi nel prosieguo? - «Padre Bernardino Bordin, a Cherso, dove ero andato per gli studi ginnasiali. Padre Andrea Eccher, uomo di profonda spiritualità, sempre a Cherso. Ogni domenica lo accompagnavo in moto (guidava lui!) alla montagna, dove predicava ed era un ascolto straordinario. Ancora: padre Vittore, parroco ai Frari a Venezia, padre Agostino a Brescia, dove feci il liceo classico. Tutti grandi predicatori, che parlavano anche di missioni».
Che peraltro non riuscì a concretizzare. - «Sì. Chiesi di poter andare in Cina, ma fu impossibile perché era scoppiata la guerra. Nel frattempo, Pio XII aveva chiesto al ministro provinciale di inviare tre frati al collegio internazionale greco russo di Roma, a studiare, per poi andare in quei territori Io sono biritualista - cioè esperto dei riti latino e orientale».
Al proposito, ci sono state due previsioni che lei non sarebbe partito per le missioni. - «Sì. Prima padre Pio, poi lo stesso Pio XII. Mi dissero, il primo: Peppì, tu in missione non andrai mai; farai la missione in Italia. La stessa cosa da parte del Papa».
Ha operato in vari campi dell'apostolato: dai carcerati ai poveri (qui anche col famoso Armadio voluto dal vescovo Bortignon). In quale è rimasto maggiormente coinvolto? - «La predicazione. Per un trentennio, dal 1972 al 2002 ho diretto tutta la predicazione italiana delle missioni popolari. Ogni giorno ero con gruppi di ascolto e ho diretto fino a cinquecento missionari. Anche adesso, a livello più ristretto, quasi ogni sera, incontro gruppi familiari».
Ci sono sacerdoti, frati e pure monaci ai quali l'abito religioso pare pesi tanto, al punto da eliminare veste talare e saio, per vestire in borghese. Che cosa rappresenta per Lei, la tonaca che indossa da sempre? - «Vero. Nessuno mi ha mai visto senza tonaca! Perché? Così faceva san Francesco. È la forma pastorale del santo di Assisi. Quante volte, viaggiando, sono stato avvicinato da qualcuno che vedendo un frate si confidava. Un caso particolare: in una stazione mi ferma un vigile: Padre non trovo mai il tempo per andare a confessarmi. Può farlo qui?. Lo confessai. Non voglio giudicare gli altri, ma quella di vestire la tonaca mi sembra una significativa forma di pastorale, come dicevo».
Lei ha conosciuto padre Pio e padre Leopoldo: che cosa di questi santi le è rimasto vivo nel ricordo e nel cuore? - «Da padre Pio andavo a confessarmi due volte l'anno e devo dire della sua grande bontà, poi non faceva domande indiscrete No, non era severo, duro. Lo era soltanto coi curiosi. Una volta, entrato nella sua cella, gli presi le mani con le stigmate chiedendogli se gli facevano male. E lui: Peppì, Dio non mi ha dato queste stigmate per di
ver timento!. Di padre Leopoldo ricordo l'umiltà, la semplicità, l'umanità, la saggezza. E quando veniva in basilica per confessare i novizi, come prima cosa andava all'arca del Santo a pregare. Nei mesi in cui fu a Padova, mi confessai anche da padre Kolbe. Mi fece fare un voto: non fumare».
Anche lei ha passato molto tempo a confessare, e continua: sacerdoti, monaci - «Sì, ho avuto dei periodi nei quali passavo quattro-cinque ore in confessionale. Anche adesso, appunto, ci sono religiosi e preti che vengono da me, e io mi trovo sempre più piccolo, più povero, di fronte alla grande vita spirituale di molti».
Giovanni Lugaresi
"Il Gazzettino" di Mercoledì 23 Maggio 2018, pagina 8